martedì 15 giugno 2010

...si vive di ricordi.

Oggi dalle vetrate del mio studio americano si vedono solo nuvole. Tira una leggera brezza da terra così mi sento al sicuro dal cretino del prosciutto. Il marino per oggi se ne starà alla larga dal mio piccolo paesello di provincia sul finire della campagna e sull'inizio del mare. Si sente solo il profumo della pioggia e il frenire di alcuni pioppi in lontananza. Le mie moto mi guardano languidamente e, se non sapessi che non hanno motilità facciale, giurerei che mi stanno implorando di uscire. 1600 centimetri cubi e 200 cavalli in due, ognuna col suo carattere, pregi e difetti.
Vive a modo loro.
Viene da usare un linguaggio scurrile e violento per descriverle, quando il culo appoggia sulle loro selle e il feeling aumenta e cresce in maniera smisurata dopo le prime curve, non se ne può fare a meno; si sente la necessità di far emergere la loro indole.
Una più pacata, timida, che va stuzzicata, presa per mano e allungata in alto dove il motore diventa un ringhio e la cambiata alla marcia superiore diventa un colpo secco che si fa sentire sul piede e allunga gli steli della forcella anteriore...
L' altra cattiva sempre, incazzata, sgarbata che in piega chiama sempre tre cose: gas, culo fuori e ginocchio aperto quasi a sfiorare l' asfalto che ti induce sempre a interrogarti se stai guidando in strada o in pista.
Sono piccoli frammenti di memoria, sono schegge impazzite di giornate spese in collina tra un tornante e una curva in piena.
Sono ricordi.
I vasi della vita, dove risplendono tutti i fiori che i giorni ci ragalano, sono riempiti anche di queste cose. Sono il liquido che, come l'acqua, mantengono i fiori recisi; quei fiori che ci restano dentro qualsiasi cosa accada.
Sono ricordi che si adattano al contenitore, fluidi, che riempiono tutti gli interstizi dell'anima.
...ricordi....
In queste giornate dove una pioggia fine leviga tutto, spiana e pialla, le nubi avvolgono il cielo e i farmaci non assomigliano alla pioggia, non fanno il loro "mestiere" tutto assume valore di ricordo, un codice binario che ti scorre davanti agli occhi, in sovraimpressione al monitor e ti rendi conto che i cavalli del PC non possono assomigliare ai cavalli di quella bestia che ti osserva. E' forte l' istinto di aprire la porta e farla girare in mezzo al vento, alla pioggia, ai lampi e ai tuoni, per sentire addosso, anche solo per una frazione di secondo, quel luogo da dove sembra provenire: un girone infernale.
Ma è tutto un ricordo sovrapposto, traslucido.
La realtà è una poltrona, i farmaci, le formiche ai piedi e le anche che sembrano esplodere.
Un punteruolo che non curante del fatto che sotto ci sia la tua pelle, ti riga la carrozzeria, con sfregio e spregio.
Dall'inguine al ginocchio, andata e ritorno, via la pelle, via tutto quello che c'è dentro (cit. Marco Paolini da "Vajont-9 ottobre 1963 n.d.a.)
ma apri gli occhi, guardi in basso ed è ancora tutto al suo posto.
E' solo il ricordo perenne di un' altra giornata dove splendeva il sole e poteva essere l'ultimo.

Al prossimo post.

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