giovedì 27 dicembre 2012

The red House di Aloisio Congrejo



Quando Tani Thor mi invitò a visitare in anteprima la nuova installazione di Aloisio Congrejo accettai di buon grado, perché mi piace visitare le opere da solo, quando sono ancora nude e pure, e confrontarne l'effetto con le sensazioni avvertite nell'intrigante "contaminazione" della folla del vernissage.
Ebbene, la prima impressione fu quella di essere capitato nella lucida follia dello straniamento metropolitano, in un non-luogo che racchiudeva tutti i luoghi (comuni e non) dell'incomunicabilità e dell'omologazione di percezioni ed emozioni, peccati originali della moderna civiltà meccanizzata.


Una strada anonima e freddamente caotica, luci-macchine sfreccianti ed inafferrabili, figure (umane?) incolonnate in una seriale rincorsa verso il nulla, scheletri di strutture-palazzi privi di vita vissuta: il tutto in un loop schizoide da incubo ricorrente che - tuttavia - mi faceva pensare che l'opera non poteva esaurirsi nella fissità di quella visione onirica, ma che dovesse esserci qualcos'altro, una chiave di lettura nascosta da cercare sull'asfalto di pixel o tra i lividi neon della misteriosa città. Aloisio stesso ha parlato di rete neurale, di flusso di pensieri ed informazioni, di corrente turbinosa che non riesce però a trascinare via le emozioni ed i frammenti di vita.


Tenendo presente le sue parole, ed aggirandomi solitario nell'installazione, non mi è stato difficile scoprire il suo significato profondo. Aloisio non gioca a nascondino, ma suggerisce percorsi segnati dalla sua sensibilità creativa e fornisce il filo d'Arianna per districarsi nel labirinto della sua mente. Già, perchè di pensiero si tratta, di cervello che però sottrae pezzi al cuore, li cataloga e li conserva come files allocati nella memoria di un PC vivente. Sono ricordi, citazioni, rimandi, analogie, nostalgie, tutti elementi che fanno parte del nostro vissuto interiore e a cui inconsciamente attingiamo ogni volta che visitiamo la "nostra" mostra del tutto privata, autori e fruitori allo stesso tempo delle incessanti creazioni del nostro io segreto.


Alo è un artista, ed il suo immaginario privato è fatto di opere d'arte, proprie o altrui. E nelle gallerie segrete-ma-non-troppo della sua opera  - che è anche la sua mente rivelata e tradotta in cifra estetica - egli custodisce le icone delle opere d'arte degli autori a lui più cari: Nessuno Myoo, nino Vichan, Daco Constantin, giallo India, Nexuno Thespian, Paola Mills, Tani Thor (che non poteva certo mancare...), Aloisio stesso, menti avvicinate dall'arte e dealla creatività, come il Nostro suggerisce. Egli espone ciò che conserva, ama ciò che conserva, espone ciò che ama, esorcizzando l'atavica paura dell'oblìo e l'innato timore per l'ignoto che ci aspetta dietro l'angolo.

                                 

Sono tornato a visitare la mostra in occasione della sua apertura, e mi ha colpito il contrasto fra gli automi viaggianti e gli umanissimi avatar che li incrociavano schivandoli senza fatica, segno che l'umanità - reale o virtuale - vince sempre. Ho rivisto la red house, una sorta di hangar deposito degli androidi, che mi era sembrata, nella precedente visita, inquietante ed apocalitticamente premonitrice di un futuro post-umano, ma che ora mi appariva - circondata da sussurri, grida e sorrisi - ironica e sorniona come una macchina teatrale, a cui i battiti del cuore pulsante di un'intuizione artistica facevano da ideale contrappasso.
                                                                              Pinovit Pinion

1 commento:

  1. Ti ringrazio per queste fantastiche parole, evidentemente ho raggiunto l'obbiettivo, e lo dimostra ciò che hai scritto !

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