Ero in piedi sulle mie gambe incerte, appoggiato con la mano sinistra alla mia proverbiale zanetta (trad. bastone da passeggio per anziani) e mi accingevo a impegnare il mio euro per noleggiare mezz'ora di felicità di un carrello. Qual'è la più grande felicità di un carrello, se non quella di essere sospinto tra migliaia di euro di biscotti, cioccolate, merendine, bevande succhi di frutta e numerosi tripudi di carne e pesce sapientemente imballati in asettici involucri di plastica.
Sapete... A me l'igiene del pesce fà un po' schifo. Il miscelarsi dell'odore della varechina con il sano profumo del pesce fresco mi mette un po' di nausea e di ansia. E' l'apoteosi dell'innaturale. Supero tutte queste sensazioni e passo davanti a copiose e festose composizioni di pane, ma non riesco a fare a meno di pensare al profumo del pane nero, fatto col lievito madre e senza fermentazione alcolica. Io non lo ho mai sentito ma deve essere per forza diverso, altrimenti non mi spiego l'adagio popolare "buono come il pane".
Infilo le mie poco delicate manone (25 cm dalla punta del mignolo alla punta del pollice) negli scaffali avendo cura di scegliere ciò che secondo me, fa meno male alla mia salute, rendendomi però conto che è una missione quasi impossibile. Tiro giù una confezione di biscotti, una di cereali, e la mia coscienze impedisce al mio essere animalesco di riempire il carrello (un po' triste dato il tenore dietetico dei miei acquisti) di nutella e i suoi derivati.
Muovo verso la cassa con passo incerto, non tanto per l'intento ma quanto per il mio costante appoggiarmi al manico del carrello che ormai non mi sopporta più, alla stregua del cavallo bianco del bandolero di Vecchioni.
Una signora anziana mi fotte il posto in fila e provo a muoverle un sentimento di "compassione" con cinica abilità ma non ci riesco. Implacabile gigante nana con lo zucchero filato amaro al posto dei capelli.
Finalmente guadagnata la cassa pago il mio conto... Per altro non troppo salato. La dieta fa più bene al portafogli che a me.
Esco... E sono di nuovo sulle mie gambe tremolati.
Quello che prima avevo solo scorto in lontananza si materializza dietro alle porte a vetri scorrevoli di quel magnifico e triste mondo chiamato super mercato, che di super ha solo le dimensioni.
Uno zingaro...
Pelle scura, baffi e capelli corvini con qualche filo d'argento. Uno per ogni anno di età suppongo...
Sulla cinquantina. China la testa e porge un sottovaso di plastica verde.
Lo invito a seguirmi e deposito il mio carrello che immediatamente ritorna alla sua vita buia e grigia sotto a una pensilina di plexiglass.
Tiro fuori l'euro con cui ho noleggiato la sue felicità e lo metto nel sottovaso dello zingaro, accenna una mossa con la testa (gli anglo americani direbbero "nods") ma gli angoli della sua bocca non si muovono, rimangono immobili; rimango perplesso.
Dalla memoria emergono un po' di ricordi. Non ho mai visto uno zingaro sorridere.
Ridono sguaiatamente, ad alta voce... Sonori e fisici ma non ho mai visto il sorriso della spensieratezza sui loro volti. Volti segnati dalla vita. Rughe profonde. E quegli occhi sempre a mezza strada tra il cielo e la terra ma qualcuno deve ancora riuscire a convincermi che guardino l'orizzonte della libertà che dicono di vivere. Ma i diversi siamo noi, non loro. Siamo noi a renderli tristi e a impedirgli di vivere la felicità che cercano nel loro vagare.
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