lunedì 31 gennaio 2011

Non ho mai visto uno zingaro sorridere...

Oggi uscendo dall'officina dove impiego 8 ore della mia vita, mi sono fermato a fare la spesa.
Ero in piedi sulle mie gambe incerte, appoggiato con la mano sinistra alla mia proverbiale zanetta (trad. bastone da passeggio per anziani) e mi accingevo a impegnare il mio euro per noleggiare mezz'ora di felicità di un carrello. Qual'è la più grande felicità di un carrello, se non quella di essere sospinto tra migliaia di euro di biscotti, cioccolate, merendine, bevande succhi di frutta e numerosi tripudi di carne e pesce sapientemente imballati in asettici involucri di plastica.
Sapete... A me l'igiene del pesce fà un po' schifo. Il miscelarsi dell'odore della varechina con il sano profumo del pesce fresco mi mette un po' di nausea e di ansia. E' l'apoteosi dell'innaturale. Supero tutte queste sensazioni e passo davanti a copiose e festose composizioni di pane, ma non riesco a fare a meno di pensare al profumo del pane nero, fatto col lievito madre e senza fermentazione alcolica. Io non lo ho mai sentito ma deve essere per forza diverso, altrimenti non mi spiego l'adagio popolare "buono come il pane".
Infilo le mie poco delicate manone (25 cm dalla punta del mignolo alla punta del pollice) negli scaffali avendo cura di scegliere ciò che secondo me, fa meno male alla mia salute, rendendomi però conto che è una missione quasi impossibile. Tiro giù una confezione di biscotti, una di cereali, e la mia coscienze impedisce al mio essere animalesco di riempire il carrello (un po' triste dato il tenore dietetico dei miei acquisti) di nutella e i suoi derivati.
Muovo verso la cassa con passo incerto, non tanto per l'intento ma quanto per il mio costante appoggiarmi al manico del carrello che ormai non mi sopporta più, alla stregua del cavallo bianco del bandolero di Vecchioni.
Una signora anziana mi fotte il posto in fila e provo a muoverle un sentimento di "compassione" con cinica abilità ma non ci riesco. Implacabile gigante nana con lo zucchero filato amaro al posto dei capelli.
Finalmente guadagnata la cassa pago il mio conto... Per altro non troppo salato. La dieta fa più bene al portafogli che a me.
Esco... E sono di nuovo sulle mie gambe tremolati.
Quello che prima avevo solo scorto in lontananza si materializza dietro alle porte a vetri scorrevoli di quel magnifico e triste mondo chiamato super mercato, che di super ha solo le dimensioni.
Uno zingaro...
Pelle scura, baffi e capelli corvini con qualche filo d'argento. Uno per ogni anno di età suppongo...
Sulla cinquantina. China la testa e porge un sottovaso di plastica verde.
Lo invito a seguirmi e deposito il mio carrello che immediatamente ritorna alla sua vita buia e grigia sotto a una pensilina di plexiglass.
Tiro fuori l'euro con cui ho noleggiato la sue felicità e lo metto nel sottovaso dello zingaro, accenna una mossa con la testa (gli anglo americani direbbero "nods") ma gli angoli della sua bocca non si muovono, rimangono immobili; rimango perplesso.
Dalla memoria emergono un po' di ricordi. Non ho mai visto uno zingaro sorridere.
Ridono sguaiatamente, ad alta voce... Sonori e fisici ma non ho mai visto il sorriso della spensieratezza sui loro volti. Volti segnati dalla vita. Rughe profonde. E quegli occhi sempre a mezza strada tra il cielo e la terra ma qualcuno deve ancora riuscire a convincermi che guardino l'orizzonte della libertà che dicono di vivere. Ma i diversi siamo noi, non loro. Siamo noi a renderli tristi e a impedirgli di vivere la felicità che cercano nel loro vagare.

mercoledì 1 dicembre 2010

QQFashion @ Tanalois



Voglio aprire con un ringraziamento Quinnye Quinnel per aver scelto Tanalois come luogo per presentare la sua collezione autunno/inverno 2010-2011.
Ricordo anche che ci ha sponsorizzato anche il primo concorso di poesie tenutosi qualche mese fa, e che riscosse un discreto successo in tutti i sensi, come pubblico, come critica e come partecipanti.
Ho partecipato alla sfilata e, devo dire, che nonostante la mia completa ignoranza in materia (vesto gli stessi abiti da 3 anni n.d.a.) , ho visto una bella collezione di abiti. Eleganti, mai pacchiani, facilmente indossabili in tutte le occasioni.
La serata è stata coordinata dall'impeccabile Florence Magnifico, condotta da Tatanka Ferraris che ne ha curato anche l'aspetto musicale, Tani Thor alla "local chat" che ha riproposto in forma scritta ciò che Tatanka leggeva e grazie anche ai modelli:

Davide Batistuta
Redevil Rhiarda
Sissi Aquila
Moira Dexler
Eljisa McLain
MirkoReina Mode
Kessy Laville
Moiea Dexler
Apple Shu

in rigoroso ordine sparso ma tutti ugualmente bravi.

Grazie a tutti gli intervenuti, a tutti i nostri ospiti che ci hanno seguito.

giovedì 25 novembre 2010

Tanalois @ 2Lei (Giornata mondiale contro la violenza sulle donne in Second Life)



Vi confesso una certa interdizione nello scrivere questo post...
Per la prima volta mi trovo a dover scrivere di Tanalois (come entità unica) che è protagonista di un evento.
Questa volta ci siamo prestati ad una iniziativa parallela alla RL, secondo noi molto importante,
contro la violenza sulle donne che è 2Lei.
Ci siamo prestati a questa iniziativa perché particolarmente consona al nostro modo di intendere l'arte ed il collegamento che riesce a creare tra ciò che si genera al suo interno, la percezione di quello che viene da fuori e quello che la mescolanza di questi due elementi genera.
Dicevo in apertura di post che questa iniziativa collega e si estende su molte land e tutte con artisti diversi.
A Tanalois hanno esposto:

Abso Zlatkis
Aloisio Congrejo
Apple Shu
Daco Monday
Flurry Fargis
Joy Snowfield
Giovanna Cerise
Giulia Janus
Gleman Jun
Katy60it Cyberstar
Kicca Igaly e Nessuno Myoo
Lion Igaly
Lita Menges
luciella Lutrova
Lookatmy Back
Marisa Falbo
Musique Gable
nexuno Thespian
Nino Vichan
Qatesh Denja
Solkide Auer
Tani Thor

E' estremamente difficile cercare di passare in rassegna tutti quanti senza il rischio di cadere nel retorico e nel ripetitivo poiché, ahimè, le parole per descrivere le emozioni a volte si ricalcano, e con i passaggi della penna ledere il foglio, l'anima e l'occhio di chi legge ed, esattamente come succede quando tentiamo di calcare troppo un tratto, passare al foglio sottostante alleviando il tratto ed andando un pochino a tracciare un segno fantasma di una parola che non ci sarà. Ma non mi dilungo oltre altrimenti il protagonista divento io, mentre invece, il protagonista deve essere il messaggio che passa e vibra attraverso le opere dei nostri ospiti, sempre attenti e precisi, oramai navigati nel veicolare il loro "IO" da dentro questo mondo di pixel verso il mondo delle cellule.

Daco Monday (Maternità mancata):

ci propone una donna "smontata" ed idealizzata, raccolta in un contenitore all'interno del quale sembra articolarsi tutto il suo essere, quasi costretta ad un ruolo inquadrato e ben delimitato. Un'opera costrittiva che ci da il senso dell'essere donna attraverso il tempo. Ma l'ermetismo di Daco ci concede una via di fuga fatta di cubi rossi, che lascia il respiro alla passione.
Ma il titolo ci riconduce alla suprema costrizione: la mancata procreazione; punto cardine della vita e dell'essere donna.

Giovanna Cerise (Fragility):

un grande impatto visivo legato tutto allo sgorgare copioso di gocce, lacrime, da un corpo appeso solo a sé stesso.
L'unica protezione un'aura scura, quasi uno schermo semitrasparente a fare da specchio alla realtà del tentare di nascondere una fragilità intrinseca.

Tani Thor (Donne in rinascita):

Più dei tramonti, più del volo di un uccello,
la cosa meravigliosa in assoluto,
è una donna in rinascita.
Quando si rimette in piedi dopo la catastrofe, dopo la caduta.
Che uno dice: è finita.
No, finita mai per una donna.
Una donna si rialza sempre,
anche quando non ci crede, anche se non vuole.
Parlo di te,
che questo periodo non finisce più,
che ti stai giocando l'esistenza in un lavoro difficile,
che ogni mattina è un esame, peggio che a scuola.
Te, l’implacabile arbitro di te stessa,
che da come il tuo capo ti guarderà deciderai
se sei all'altezza o se ti devi condannare.
Così ogni giorno,
e questo noviziato non finisce mai
e sei tu che lo fai durare.
Oppure parlo di te,
che hai paura anche solo di dormirci, con un uomo;
che sei terrorizzata che una storia ti tolga l'aria,
che non flirti con nessuno
perché hai il terrore che qualcuno s'infiltri nella tua vita.
O peggio: se ci rimani presa in mezzo tu,
poi soffri come un cane.

Sei stanca.
C'è sempre qualcuno con cui ti devi giustificare,
qualcuno che ti vuole cambiare,
o che devi cambiare tu per tenertelo stretto.
Così ti stai coltivando la solitudine dentro casa.
Eppure te la racconti,
te lo dici anche quando parli con le altre:
"Io sto bene così. Sto bene così, sto meglio così".

E il cielo si abbassa di un altro palmo.

Oppure con quel ragazzo ci sei andata a vivere,
ci hai abitato Natali e Pasqua.
In quell'uomo ci hai buttato dentro l'anima
ed è passato tanto tempo,
e ne hai buttata talmente tanta di anima,
che un giorno cominci a cercarti dentro lo specchio
perché non sai più chi sei diventata.
Comunque sia andata,
ora sei qui
e so che c'è stato un momento
che hai guardato giù e avevi i piedi nel cemento.
Dovunque fossi, ci stavi stretta:
nella tua storia, nel tuo lavoro, nella tua solitudine.
Ed è stata crisi, e hai pianto.
Dio quanto piangete!
Avete una sorgente d'acqua nello stomaco.
Hai pianto mentre camminavi in una strada affollata,
alla fermata della metro,
sul motorino.
E quella notte che hai preso la macchina e hai guidato per ore,
perché l'aria buia ti asciugasse le guance.
E poi hai scavato,
hai parlato,
quanto parlate, ragazze!
Siete lacrime e parole.
Per capire,
per tirare fuori una radice lunga sei metri
che dia un senso al tuo dolore.
"Perché faccio così?
Com'è che ripeto sempre lo stesso schema?
Sono forse pazza?"
Se lo sono chiesto tutte.
E allora vai giù con la ruspa dentro alla tua storia,
a due, a quattro mani,
e saltano fuori migliaia di tasselli.
Un puzzle inestricabile.
Ecco, è qui che inizia tutto. Lo sapevi?
E' da quel grande fegato che ti ci vuole per guardarti così,
scomposta in mille coriandoli,
che ricomincerai.
Perché una donna ricomincia comunque,
ha dentro un istinto che la trascinerà sempre avanti.
E' un'avventura, ricostruire se stesse.
La più grande.
Non importa da dove cominci,
se dalla casa, dal colore delle tende o dal taglio di capelli.
Vi ho sempre adorato, donne in rinascita,
per questo meraviglioso modo di gridare al mondo
"Sono nuova!"
Semplicemente con una gonna a fiori
o con un fresco ricciolo biondo.
Più delle albe, più del sole,
una donna in rinascita è la più grande meraviglia.
Per chi la incontra e per se stessa.

È la primavera a novembre.
Quando meno te l'aspetti...

Allego tutto il testo perché il vero punto focale è lo slancio della passione, tradotto in colori, il rosso che fugge verso l'alto legato all'anima de "La donna in rinascita".

Solkide Auer (La Donna):

la donna come rappresentazione schematica, come entità biologica imprescindibile congelata nel simbolo scientifico dolcemente incastonato in un altare. Di seguito il regalo in parole di Solkide.

La donna
puo' essere rinchiusa in una stanza dorata,
puo' essere incolpata di un peccato originale,
puo' essere incompresa nella sua enigmatica personalita',
ma conserva un suo candore interiore,
emana una luce propria,
si tinge di rosa a ricordare il suo essere femminile che comunque la distingue.
Che dice al mondo..io esisto e non potrete mai fare a meno di me, pena la fine dell'umanita'.


Dedicata a tutte le donne che in questo mondo soffrono, e a tutte coloro che hanno lottato per la liberta' e i diritti civili della donna.
Dedicata alla donna che per rivendicare il più semplice dei suoi diritti è morta e continua a morire.

Lion Igaly (Stop the violence):

la donna intrappolata e stigmatizzata nel gesto di affacciarsi dietro ad un vetro dove si può vedere solo in una direzione. La violenza consumata al buio di una stanza dove domina il grigiore.

Aloisio Congrejo (Nancy)

la crocifissione come espiazione di una colpa; come espiazione interiore di un male mai compiuto.


Apple Shu (Stop!):

un'immagine dal forte impatto emotivo e ben costruita, grande risalto all'incombenza e alla necessità di cessare qualsiasi violenza.

Musique Gable (Calm after the storm):

un bianco e nero forte, risalto alla dignità del dopo. Le ferite e le cicatrici ben visibili ma sfumate e mitigate da un volto tenero, disponibile, a rimarcare la domanda secca: "Perché ?"

Katy60it Cyberstar (Sacrifice):

di difficile interpretazione. Una immagine dura, complessa, costruita tutta attorno alla simbologia del vampirismo.
Ma più che alla sottrazione della linfa vitale, il riferimento più chiaro, è alla dispersione della linfa... A quell'inutile dispendio e costrizione che è la violenza.


Lookatmy Back (Stop it one and forever):

un affresco moderno. Pulito e chiaro. Un'anima sorge sopra un corpo steso, nudo, le braccia tese con la forza della disperazione.

Flurry Fargis (Violence):

un'immagine chiara e d'impatto. Le regole vengono stravolte alla stregua del volto del soggetto.
La paura dipinta, le mani a tentare di parare il colpo inevitabile. Uno spaccato vero e potente.

Giulia Janus (Involution):

una bella introspettiva di ciò che si genera partendo da fuori andando verso l'anima.

Abso Zlatkis (Maltrattata):

l'esplosione delle lacrime al pari dell'esplosione della violenza, ci danno una contezza tangibile dell'evoluzione sia interna che esterna. Ciò che viene generato dentro che si genera anche fuori.
Ma dentro è un pianto infinito che non smetterà mai più.

Qatesh Denja (Be blind):

l'immagine esteriore di dolce fierezza che fa da contrappeso al gesto di ripararsi, di nascondersi e chiudere gli occhi su una brutta realtà.
Una bella descrizione per una pagina sicuramente nera.

Joy Snowfield (Fear):

la paura del futuro visto quasi attraverso un oblò e attraverso le lenti del passato.
Un futuro luminoso ma inquietato da delle linee graffianti e sfuocate, che denotano l'incertezza e la paura nell'attraversarlo.

Lita Menges (Lost innocence):

chiara immagine dell'innocenza dell'uomo amato perduta nella violenza.
E il comune senso attribuito alla perdita dell'innocenza, assume connotati ancor più drammatici per sfociare in una deliberata violenza sessuale.

Kicca Igaly and Nessuno Myoo (Teacher of love):

insegnante di vita, insegnante sempre il ruolo principe della donna maestra di casa che insegna la dolcezza, che mette dolcezza e amore nel piegarsi e nel chinarsi alla carezza. Un ruolo che non perderà mai più. Insegnerà al proprio uomo il valore dell'amore compiuto in tutta la sua immensità e trasmetterà a lui, come ai figli, tutto l'affetto di cui è capace. La donna combattente multiruolo dell'amore.

Nino Vichan (Shackling of pregnant incarcerated):

è un opera forte dal punto di vista del coinvolgimento. La simbologia è in perfetta simbiosi col significato e il significante. La costrizione ancestrale della donna ad essere madre, una naturale imposizione che diventa violenza dal momento della costrizione morale ad esserlo. Suona come un pugno in pieno volto il volteggiare di figure maschili al di sopra della scena a dimostrazione che i secoli non hanno cambiato la storia della donna media, comune, di tutti i giorni; vincolata a questo ruolo da sempre e per sempre.

Gleman Jun (Stop fear):

la tensione è palpabile, è visivamente imponente; linee dritte e un taglio di luce bianca come il cretto di Burri che ricorda il terrremoto che sconvolse Gibellina, costruito con le macerie della cittadina stessa ingabbiate in maglie di ferro e sigillate a futura memoria della forma degli edifici. Questa è l'impressione che raccolgo e prendo con me. Un taglio netto alla vita, la paura che incombe e costringe all'angolo, nudi, essenziali, spogliati di tutte le sovrastrutture e condensati, ingabbiati appunto, nell'attimo della paura.

Spero di non avervi annoiati e di non aver "passato" troppi fogli e che la vostra anima rimanga intrisa per lungo tempo dei bei messaggi che ci sono stati proposti.

Al prossimo post.